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Patti Smith 
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Titolo Patti Smith
Descrizione L’arte di essere una poetessa
Inviata da Andreo

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 “Ognuno ha una storia che deve essere narrata e rinarrata, che sarà come un filo luminoso nella stoffa dell’uomo, e i bambini marceranno, e porteranno avanti i colori, investendo su di loro il sangue redentore dei loro cuori rivoluzionari ”.


 


Se non ritenete queste parole pura poesia cambiate pure pagina, questa è la storia della sacerdotessa del rock. Basterà Poco per rendersi conto che non ci si può basare solamente sui suoi album, bisogna tenere altresì conto della sua vita, della sua passione per l’arte sottoforma di disegni, poesie, canzoni che “contengono l’eccitazione di produrre un’opera d’arte e il dolore interiore che il voler dare risposta a una tragedia collettiva provoca”.


 


Patricia Lee Smith, nata a Chicago il 30 dicembre 1946, si trasferì a New York City all’inseguimento dei suoi modelli: “Sono sempre stata orientata verso i miei eroi. Ho cominciato a creare non perché avessi degli istinti artistici, ma perché mi ero innamorata degli artisti. Non sono andata a New York per diventare un’artista, ma per diventare la musa di un artista. L’arte, all’inizio, non era un veicolo di autoespressione, era un modo per sentirmi vicina ai miei eroi, perché non riuscivo ad avere contatti con Dio. Il più accessibile degli dei era uno dei miei eroi semidio, Brian Jones, Edie Sedgwick o Rimbaud perché i loro lavori erano lì”. Non c’è da stupirsi di queste parole dato che lei stessa giudica che “tutta l’arte è romantica, perché se togliamo il romanticismo all’arte essa diventa scienza” e, a suo favore, si può affermare che il suo approccio sentimentale e fatato è rimasto immutato nel corso degli anni.


La New York che vide Patti Smith debuttare era così feroce quanto seducente e lei stessa non seppe resisterne. Non seppe opporsi neppure alla sua dedizione ai poeti maledetti, folli e rivoluzionari quali Rimbaud, Baudelaire, Genet, Lautréamont.


In Jean Genet trovò un ribelle, un outsider, un sognatore. Sosteneva che: “Le parole, chiuse, sigillate, ermetiche, lasciano sgorgare a fiotti, quando si aprono, un senso che ci assale e ci lascia senza fiato”. Inutile affermare che un personaggio come Patti Smith ne rimase affascinata. Lo ricorda così: “Genet era ovviamente un uomo molto dotato e nato con una certa vocazione. Non sappiamo chi fosse suo padre, cioè non conosciamo, geneticamente da dove sono venuti i suoi doni. Conosciamo molto poco anche di sua madre, e così non possiamo rintracciare con sicurezza la discendenza della sua vocazione. Così queste doti sono venute da Dio, e quando dico da Dio non distinguo da Buddha, Allah o qualsiasi altro.  Ma era anche un pessimo ladro. Voleva stare fuori dalla società ma era anche molto intelligente e aristocratico; penso che fosse il figlio di Proust”. Lo ringrazierà per essere stato una delle principali fonti di ispirazione e guida fondamentale, poiché è stata la scrittura a sostenerla in questi anni, la sua forma d’arte prediletta. Da lui prese persino l’aspetto del non volere essere bella, di voler rimanere fuori dalle banalità, dagli stereotipi della società. Ma non solo, si rivelò un riferimento fisso anche dopo l’11 settembre: “Pochi quartieri più in là gli operai si mobilitano, i soccorsi continuano tutta la notte. Uomini che piangono tra uomini. Non so nulla del dolore delle loro fatiche, non so cos’hanno visto i loro occhi, cosa hanno afferrato le loro mani. Jean Genet avrebbe saputo glorificare quelle mani callose. Io non posso nemmeno stringerle. Mi sento vistosamente invisibile, vestita troppo male nella prima aurora del lutto nazionale. Quando sorgerà il sole vestirò di bianco, in onore delle ceneri che stendono il velo sulla nostra città. Le ceneri delle nostre torri cremate”.


 


Negli anni Settanta Patti Smith affermerà sfrontata come solo lei sapeva essere che: “Rimbaud mi interessa solo perché era un uomo sexy, non me ne frega niente dei suoi poemi ” ma col tempo la sua descrizione cambierà così: ”La prima cosa che ho avuto da Rimbaud è stato il potere della sua immagine: la sua faccia. Ero una ragazza giovane e non avevo un ragazzo; ho guardato le Illuminazioni: era proprio un bel tipo. Portava anche i capelli lunghi, molto prima dei Beatles. Era così semplice, niente di cosmico. Sembrava una sorte di Bob Dylan. Quando ebbi il suo libro ero immersa nel rock’n’roll, non me ne fregava della poesia; quello che mi interessava davvero era la perfezione, sia che fosse un diamante, sia che fosse Smokey Robinson. La poesia di Rimbaud era perfezione sulla pagina, come grafite luccicante”. Grazie a lui imparò l’approccio all’arte e anche su questo argomento Patti ha da dire: “Per mia sfortuna, a scuola ero sempre una ribelle. Non volevo imparare la grammatica e non volevo perché pensavo fosse uno schifo. Nessuno mi ha mai spiegato che avrei potuto usarla per trasformare le parole in qualcosa di celestiale. Nessuno mi ha mai spiegato che se avessi imparato la grammatica avrei potuto scoprire nel linguaggio le stesse emozioni di Rimbaud”. Gli è grata inoltre per aver anticipato i tempi e per la sua dichiarazione a favore del movimento di liberazione delle donne, per emanciparle dalla loro servitù. Proprio a lui dedicherà i versi di “Babel”, una dichiarazione del suo amore.


Fu Robert Mapplethorpe che la iniziò alla pittura. Lo conobbe appena arrivata a New York ed in lui trovò un amico fidato, un amico che ricorda così: “Quando vivevo con Robert Mapplethorpe abbiamo studiato in modo scrupoloso i disegni e i dipinti di William Blake che mi ha sicuramente ispirato come poeta e come pittore, prima ancora che scoprissi la sua grandezza come uomo. Per tutta la vita ha dovuto lottare contro la povertà, la mancanza di riconoscimenti, persino il sarcasmo, senza mai smettere di credere nella sua visione della vita”. Col tempo Mapplethorpe divenne il suo fotografo, “il vero artista, l’artista puro. Aveva una vera vocazione e posso dirlo con una certa autorità perché l’ho conosciuto fin da quando aveva vent’anni e ho visto la storia della sua evoluzione. L’obbiettivo di Robert è sempre stato la composizione e la luce. Queste erano le sue pure motivazioni.”


Patti Smith è legata alla poesia come un bambino custodisce il suo giocattolo preferito: cresce ma non se ne libera mai, lo tiene sempre con sé. “Artaud, Genet e Robert Mapplethorpe hanno esplorato gli aspetti più complessi della condizione umana e li hanno fatti splendere nei loro lavori. Hanno preso ciò che tutti chiamiamo vergogna e l’hanno chiamata bellezza ed è questa la connessione che hanno stabilito. Hanno aperto spazi per gli altri: il che è, penso, il dovere di ogni artista”.


 


La sua vita ruota intorno alle scelte e al coraggio: lascia giovanissima la sua città per trasferirsi a New York, si prefigge obbiettivi che riesce a conquistare, ma non contenta continua a imporsene altri, persiste a raccontare la sua amata New York, quella di Andy Warhol e dei Velvet Underground fino a raggiungere il successo: tutti la amano. A dimostrazione di ciò il concerto tenutosi a Firenze, nell’estate del 1979. Nell’Italia di quegli anni qualsiasi cosa era politica e sul finire dell’esibizione i fan cominciarono a spostarsi come onde sul palco e, nonostante Patti Smith abbia capito che non era altro che rock’n’roll e che gli spettatori volevano semplicemente dimostrare il loro amore verso di lei, i suoi concerti vennero fraintesi per rivoluzione. Le fu dato l’appellativo di portavoce generazionale, lei non l’ha mai gradito e così decise di lasciare il panorama musicale per alcuni anni, forse intimorita, forse perché non voleva bruciare lentamente come molti suoi amici ed eroi all’apice del successo. Per lei essere una cantante voleva solamente significare esprimere la sua arte, Patti Smith voleva vivere per l’arte, non le interessava divenire un’icona del rock’n’roll. Ha scelto di dedicarsi alla vita privata sposando Fred 'Sonic' Smith, chitarrista degli MC5 ed avendo due figli: Jackson nel 1981 e Jessica nel 1987.


 


Nel 1988 pubblicò  un altro lavoro, ma ritornò subito fuori dalla scena.


Gli anni Novanta sono stati molto dolorosi per lei, pieni di perdite di persone molto care, quali il marito Fred Smith, morto di attacco di cuore nel 1994, il fratello Tod, l’amico Robert Mapplethorpe, il devoto pianista Richard Sohl, ma anche Jeff Buckley, Kurt Cobain.


Tornò nel 1996 pubblicando l’album al quale stava lavorando con il marito, seguito da una frequenza regolare di stampe e di concerti.


Da queste esperienze Patti Smith ha tratto maggiore sensibilità e continuerà a stupire con le sue dediche a Ho Chi Minh, Madre Teresa, con l’approfondimento di temi come l'invasione cinese del Tibet, il Vietnam, la morte di Ginsberg e Burroughs. Sebbene possa sembrare una singolarità, non lo è: a dimostrazione di ciò una dedica a Papa Luciani all’interno del suo quarto album “Wave”.


 


Patti Smith sa stupire e continuerà a farlo, per nostra fortuna.


 


 


 


Album in studio


1975- Horses


1976 - Radio Ethiopia


1978 - Easter


1979 - Wave


1988 - Dream of Life


1996 - Gone Again


1997 - Peace and Noise


2000 - Gung Ho


2004 - Trampin'


2007 - Twelve


 


 


 


Arianna Guerrini


Giudizio Voti: 4 - Media: 5

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