Robben Ford è un cantante e chitarrista di estrazione jazz, che propone un blues elettrico molto particolare, raffinato e stilisticamente evoluto, ampiamente contaminato da alterazioni fusion sia nella ritmica che nell’armonia, dove inserisce a meraviglia la sua voce stranamente morbida e pulita. Eccolo dunque, dalla galassia dei musicisti divini, atterrare in tour in Italia assieme ad una incredibile power-band di 2 soli elementi, due alieni: lo strepitoso Anastasios “Toss” Panos (ex Steve Vai band e 100 altri) ai tamburi e Travis Carlton, figlio d’arte, al basso. Temo che parlare di Robben Ford come del più importante chitarrista blues in attività (tutti piangiamo ancora Stevie) sia riduttivo per un talento del genere, vera ossessione per musicisti e appassionati di tutto il mondo. Egli, in virtù delle sue ampie influenze jazz e di una vena creativa che lo fa risultare “fresco” anche dopo oltre 35 di anni di musica, riesce ad arricchire il semplice e indistruttibile schema armonico del blues con variazioni ritmiche e con lievissime mutazioni degli accordi, trasformandolo in un arcobaleno sonoro dove inserire assoli memorabili. Questo è il suo personalissimo stile musicale, un solco dal quale raramente esce. Che dire dunque? Robben si presenta, parla in italiano e ci delizia con la sua musica, che ora suona più rockeggiante del solito, ora è in vena funky, ma non temete, è sembre la ricetta della sua “fusione blu”. Niente fronzoli: due amps fender (’65 twin reverb?), un cry-baby poco usato, e due soli suoni, per l’accompagnamento e per il solo; questo per la prima “ragazza” a 6 corde che tiene in braccio, la stupenda “Noupaul” del liutaio Taku Sakashta (l’altra è una Fender Telecaster). Se con Robben scatta subito il feeling, i due che lo accompagnano si dannano al pezzo per superarlo in bravura. Travis Carlton non è solo preciso ed espressivo, è anche molto tecnico e strappa applausi alla colta platea con cattivissime slappate e con fraseggi ispirati che evocano Pastorius. La batteria di Toss è un puro set jazz, ha un tom e una piccola, secca cassa, ma a lui non serve di più: è in grado di estrarre suoni di ogni sfumatura e voce da tutto ciò che percuote. Robben si defila volentieri per lasciare spazio ai suoi, lo fa almeno in un paio di pezzi, e ai due basta guardarsi negli occhi per sfinirci con dei grandiosi “crescendo” fusion d’alta scuola. Il concerto scorre meravigliosamente, poi Robben vede qualcuno che filma, chiede di smettere please, a mani giunte, riprende a suonare da gran professionista ma il purosangue si è adombrato, abbandona l’italiano, l’atmosfera cambia un po’. Gli altri due sono in pieno trip musicale e nemmeno se ne accorgono, continuando a strappare applausi. Si va verso la fine con un bis svogliato e una chiusura, temo, un po’ anticipata per questo piccolo incidente di percorso. Resta comunque una grande serata, abbiamo tutti gli occhi accesi e la testa piena di grande blues. “Gene”, Rock FaMily
Quel gruppo di persone già noto col nome di Rockfm
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